Scatto screenshot con il mio smartphone senza tregua. Che si tratti di tweet, foto su Instagram, titoli di articoli, o meme su Reddit, fa poca differenza: il mio corpo ha memorizzato il gesto del premere tasto di blocco + volume giù del mio cellulare Android per scattare l’immagine dello schermo come fosse il gesto spontaneo di sistemarmi gli occhiali sul naso.
Visto l’uso che ne faccio, mi sarei dovuto aspettare che, prima o poi, il tasto del volume giù si sarebbe spezzato—lasciandomi in uno strano guaio, soprattutto nel mezzo di una quarantena.
Gli screenshot sono ovunque, ci viviamo immersi. Chi è cresciuto con Tumblr—e con il suo fiume di fotogrammi di film francesi—sa benissimo di cosa sto parlando. Gli screenshot sono diventati un gesto naturale nel mondo digitale ma allo stesso tempo hanno ancora un sapore analogico: dobbiamo infatti interagire con dei tasti e non con il sensore touch dello schermo.
Il primo istinto è stato gettarmi nei forum per scoprire come cambiare i tasti necessari per scattare la foto, ma non ho avuto fortuna: alcuni suggerivano di installare app di terze parti, che però chiedono strani privilegi di accesso, mentre altri consigliavano semplicemente di usare la funzione Now on Tap di Google. Molte soluzioni erano invece esclusivamente legate al produttore dello smartphone e, nel mio caso, non si applicavano.
Sconfortato dalla mancanza di alternative, ho iniziato a riflettere sull’argomento più in generale: quando è nato lo screenshot e come si è trasformato nel simbolo della nostra vita digitale?
Diamo per scontata la funzione screenshot sui nostri smartphone: sugli iPhone c’è persino una cartella apposita in cui vengono raccolti e in Google Photos basta cercare “screenshot” per mettere in moto l’algoritmo e vedere tutti gli screen che abbiamo catturato. L’iPhone aveva la possibilità di scattare screenshot sin dal suo lancio nel 2007—e inizialmente c’erano stati anche dei problemi di privacy perché gli hacker potevano rubare gli screenshot delle app che venivano fatti in automatico quando si cliccava il tasto home. Su Android, invece, la possibilità di scattare immagini dello schermo è stata introdotta solo con Android Ice Cream Sandwich a fine 2011.
La storia degli screenshot, però, è molto più antica ed è legata indissolubilmente all’immaginario dell’interazione dell’essere umano con la macchina digitale. L’Oxford English Dictionary ha introdotto il termine nel 2002, ma si trovano tracce che risalgono agli anni Ottanta—incluse alcune foto. Secondo alcune ricostruzioni, la prima fotografia scattata ad uno schermo risale addirittura al 1956: è la foto di una pin-up mostrata su di un display a tubo catodico di un computer militare da 238 milioni di dollari.
Quell’immagine era una bozza rudimentale—ed estremamente costosa—di computer art. Nello stesso periodo, al Massachusetts Institute of Technology (MIT) stava prendendo forma un nuovo progetto rivoluzionario—e lo screenshot ne era un aspetto cruciale.
In Representing Computer-Aided Design: Screenshots and the Interactive Computer circa 1960 Matthew Allen, dottore di ricerca in storia e teoria dell’architettura ad Harvard, ricostruisce i primi passi fatti intorno al 1960 degli scienziati e ingegneri che lavoravano al progetto Computer-Aided Design (CAD) al MIT. Lì si è iniziato a immaginare che i computer potessero essere “partner attivi” per i progettisti umani e offrire una nuova forma di “simbiosi uomo-computer” grazie ai software di calcolo e progettazione. Molti architetti all’epoca consideravano i computer come semplici strumenti, ma al Computer-Aided Design Project del MIT l’approccio era diverso: i computer sarebbero diventati veri e propri ambienti di simulazione in cui interagire attivamente.
In quegli anni, i computer erano ancora oggetti poco accessibili, ingombranti, e costosi, ma per mostrare le possibilità del CAD era necessario poter presentare in giro agilmente le meraviglie che poteva produrre. Lo screenshot nasce quindi come forma per pubblicizzare il design con il CAD, un modo per mostrare l’interfaccia e l’interattività di uno strumento impressa su un supporto fotografico. “Gli screenshot sono stati utilizzati per rendere visibile un nuovo tipo di lavoro al computer a tutti quelli che non avevano accesso a quella tecnologia così esclusiva,” scrive Allen.
Le prime soluzioni erano comunque rudimentali: come nel caso della pin-up, si scattavano fotografie ad un display a tubo catodico che venivano poi proiettate in giro ai convegni e alle presentazioni.
Per certi versi, il contenuto degli screenshot non era l’aspetto importante: il fatto che esistessero era la prova che la possibilità di interagire con i computer fosse realtà; gli screenshot erano una forma di testimonianza.
Da lì, la necessità di scattare un’immagine degli schermi si è evoluta e ha preso un’altra forma in un ambito particolare, come sottolinea in una serie di articoli Jacob Gaboury, Assistant Professor al Berkeley Center for New Media dell’Università di California, Berkeley. A partire dalla metà degli anni Ottanta, i gamer iniziano a mostrare i propri risultati scattandosi dei selfie in cui appaiono vicino allo schermo con il videogioco. Questa pratica era incentivata sia dalle aziende che producevano videogiochi che dai magazine del settore. L’azienda Activision pubblicava una lista di punteggi e obiettivi da raggiungere e invitava i giocatori a inviare foto degli schermi per testimoniare i risultati ottenuti; in cambio, i giocatori avrebbero ricevuto una toppa specifica per il gioco che potevano attaccare allo zaino—alcune si trovano ora in vendita su ebay. Una richiesta simile era fatta dal magazine Nintendo Power, che includeva i punteggi più alti sul retro del proprio mensile.
“I giocatori si mettono in posa davanti ai loro schermi televisivi e alle loro console non solo per catturare un momento di gioco o un risultato numerico, ma per inserirsi nella cornice dell’esperienza di gioco—per personalizzare l’atto di gioco e i suoi contesti,” scrive Gaboury.
In questa fase, quindi, gli screenshot non sono più semplicemente una testimonianza di un prodotto—come era con il CAD—ma diventano l’emblema del desiderio di simbiosi degli esseri umani verso le macchine e i mondi virtuali che contengono.
Oggi tutte le piattaforme di videogiochi offrono la possibilità di scattare screenshot facilmente—e l’arte della in-game photography è diventata un genere di successo. Con l’avvento delle interfacce grafiche, negli anni tutti i computer hanno introdotto la funzione per catturare lo schermo e i nostri smartphone, che si sono trasformati per prima cosa in vere e proprie macchine fotografiche, sono diventati a tutti gli effetti anche delle macchine da screenshot.
A differenza degli anni Sessanta, oggi i computer non sono più separati dal nostro corpo: viviamo in una simbiosi quasi completamente realizzata e gran parte della nostra vita è prodotta e si riproduce sullo schermo. Lo screenshot ha ormai preso vita propria: è il mondo digitale che si scatta un selfie, si mostra e comunica.
In queste istantanee digitali, però, ci siamo anche noi: ci riflettiamo negli screen dei titoli dei porno raccolti su Instagram, o negli account che raccolgono screenshot dei messaggi inviati la sera prima da ubriachi, ed esistono subreddit dedicati in cui riversare i contenuti delle proprie cartelle screenshot e progetti dedicati a conservare le scene più strane di Google Maps, che andrebbero altrimenti perdute all’aggiornamento del software successivo. Ma queste fotografie possono essere modificate, tagliate, riadattate nel senso e diventare ovviamente ingrediente essenziale per i meme e addirittura trasformarsi in messaggio politico da mostrare, stampando lo screenshot di un tweet, al Senato americano.
Gli screenshot mantengono ovviamente ancora la loro funzione di archiviazione, come dimostra il lavoro immenso portato avanti da circa 20 anni dall’Internet Archive nel salvare le pagine dei siti web così come appaiono, ma sono anche un’evoluzione e adattamento del valore di testimonianza della prova fotografica: screenshot or it didn’t happen. Lo screenshot del tweet in cui Donald Trump inneggia alla violenza per reprimere i manifestanti che protestano per l’uccisione di George Floyd e per chiedere il ridimensionamento e l’abolizione delle forze dell’ordine è già passato alla storia: Twitter ha infatti oscurato il tweet originale, mentre il suo eco viene riprodotto all’infinito.
Oggi lo screenshot è anche soprattutto un modo per trovare un appiglio in un mondo digitale che va sempre più di fretta, dove siamo sommersi da scroll infiniti e contenuti che ci sfuggono sotto al naso e che, una volta chiusa l’app, rischiamo di non ritrovare più. Fermare per un momento l’attività incessante del web e archiviare un articolo, un’immagine che ci colpisce per la sua estetica, un commento che ci fa incazzare, un prodotto che vogliamo acquistare, o anche semplicemente un tweet che vogliamo condividere su un’altra piattaforma, diventano passaggi fondamentali per la nostra vita e le nostre relazioni con le altre persone.
E quando ti rendi conto di non poterli più scattare—per colpa di un tasto che si rompe—ti accorgi che gli screenshot sono diventati il tuo linguaggio di comunicazione con il mondo.
Articolo di Riccardo Coluccini